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Cantando
La cosa più bella al mondo: una bimba che ti
chiede quale sia la strada e che riparte cantando
dopo che gliel'hai indicata. In giapponese esiste
un sorprendente genere poetico detto haiku: esso
si compone di sole 17 sillabe distribuite in tre
versi. Come si può immaginare, è una sorta di
illuminazione, un'immagine essenziale che subito
scolora, ma lascia una traccia nell'anima. Ho
proposto oggi uno di questi componimenti perché
la sua purezza e semplicità ci rendano più
sensibili alle piccole cose che di solito
ignoriamo o calpestiamo.
L'elemento che vorrei esaltare in questa che è
sostanzialmente una pennellata poetica è nella
finale: hai mostrato alla bambina la strada
giusta ed essa non vi si avvia soltanto ma la
percorre cantando. È, questa, la dote più bella
dell'infanzia, la fiducia gioiosa, l'attesa
fremente, la capacità di sperare e sognare.
Certo, le disillusioni a noi hanno insegnato la
cautela e persino il sospetto; anche questa bimba,
prima o poi, conoscerà la frustrazione e la
diffidenza. Ma la sua lezione non deve essere
ignorata (il pensiero va all'evangelico «Se non
diventerete come i bambini-»).
Dobbiamo qualche volta di più scoprire il fiore
che sboccia nella crepa di un asfalto, il
frammento di gioia intessuto nella pesante
quotidianità, lo squarcio di luce nella
nuvolaglia. Il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht
in una sua poesia si domandava: «Nei tempi
oscuri si può ancora cantare?» e rispondeva:
«Allora si deve cantare dei tempi oscuri».
Anche il dolore - come avviene nei Salmi - può
diventare poesia, canto, liberazione e forse
quello è il canto più alto e intenso.

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