In Dialogo il Teologo Risponde |
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Si può sostituire, nel
Vangelo, la parola «carità» con «amore»? E' corretto sostituire, leggendo il Vangelo, la parola «carità» con la parola «amore»? Lo si può fare anche nel caso di una lettura inserita in un incontro di preghiera? DI: Matteo Corsi Risponde don Stefano Tarocchi, Preside della Facoltà teologica dellItalia centrale. La sostituzione, cui allude il lettore, in realtà è un problema di traduzione del termine greco sottostante: agàpe, che veniva normalmente reso in italiano con la parola «carità», ricalcando il latino charitas, ma può essere correttamente tradotto anche con il termine «amore». Facciamo qualche esempio, tratti dallapostolo Paolo, dove i due modelli di tradizione vengono affiancati: «la carità (agàpe) è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia dorgoglio» (1 Corinzi 13,4). Nello stesso Paolo quando scrive ai Romani troviamo anche due traduzioni diverse in tre versetti: «Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dellamore vicendevole; perché chi ama laltro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità (agàpe) non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Romani 13,8-10). O, di nuovo in Paolo, quando scrive al discepolo Timoteo, troviamo ancora: «Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità (agàpe) e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e lamore (agàpe), che sono in Cristo Gesù» (2 Timoteo 1,7-8.13). Nelle lettere dellapostolo Giovanni leggiamo: «noi abbiamo conosciuto e creduto lamore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nellamore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Giovanni 4,16; cf. anche 4,18; 2 Giovanni 2,16). Si potrebbe meglio intendere: «noi che abbiamo creduto, e crediamo ora, abbiamo conosciuto lamore che Dio ha in noi». Giovanni non vuole dare una definizione di Dio, come quando dice, ancora nella stessa lettera, che «Dio è luce e in lui non ci sono tenebre» (1 Giovanni 1,5). Vuole dire che Dio si è rivelato (ecco perché dice che egli è «luce»), e noi labbiamo conosciuto nellamore che ci ha manifestato quando ha dato il suo Figlio. È ancora Giovanni ad annotare, nel suo Vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Giovanni 3,16)». Il punto è che nella lingua greca esistono diverse parole che hanno a che fare con il concetto che noi abbiamo dellamore: dallamore dei genitori a quello dei figli, a quello degli amici; dallamore fisico a quello totalmente gratuito dellagàpe, fino a quello dei credenti fra loro: lamore per i fratelli (filadelfìa) di Romani 12,10: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno». Si potrebbe aggiungere anche lamore di Dio per gli uomini, nella lingua greca filantropìa: «si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tito 3,4). Anche in altre lettere troviamo (stavolta è Pietro a scrivere): «mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà lamore fraterno (filadelfìa), allamore fraterno la carità (agàpe)» (2 Pietro 1,5-7). E ancora: «conservate tra voi una carità fervente (agàpe), perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pietro 4,8). Quindi, come si vede, la versione della CEI oscilla tra i diversi significati, cercando di ottenere uno stile più vario in lingua italiana. Non sempre questo corrisponde al testo originale. Nella recente intervista rilasciata ad un giornale è lo stesso papa Francesco a dire che lagàpe «è lamore per gli altri, come il nostro Signore lha predicato. Non è proselitismo, è amore. Amore per il prossimo, lievito che serve al bene comune». Allintervistatore che aggiunge: «Gesù nella sua predicazione disse che lagàpe, lamore per gli altri, è il solo modo di amare Dio. Mi corregga se sbaglio», il papa conclude: «Non sbaglia. Il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nellanima degli uomini il sentimento della fratellanza. Tutti fratelli e tutti figli di Dio. Abba, come lui chiamava il Padre. Io vi traccio la via, diceva. Seguite me e troverete il Padre e sarete tutti suoi figli e lui si compiacerà in voi. Lagàpe, lamore di ciascuno di noi verso tutti gli altri, dai più vicini fino ai più lontani, è appunto il solo modo che Gesù ci ha indicato per trovare la via della salvezza e delle Beatitudini». In conclusione, vorrei dire al lettore che il problema non è tanto sostituire una parola con unaltra, magari per un capriccio, ma cercare di entrare nellinfinita ricchezza della Parola di Dio. Non è sempre facile tradurre adeguatamente le Scritture, e soprattutto renderne la complessità del linguaggio nelle lingue che parliamo tutti i giorni. Oltre a tutto, più una parola è usata, tanto più rischiosa è la sua interpretazione. E la parola «amore», con limportanza che riveste nella nostra esistenza di uomini e donne, ma anche di credenti, è particolarmente al cuore di questo di questo rischio, soprattutto quando vogliamo comunicarla: non tanto per quello che intendiamo dire, ma per quello che i nostri ascoltatori afferrano. |
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