La confessione che guida all’umiltà

(Tratto dai Racconti di un Pellegrino Russo, Rusconi, pp. 167-171)

Rivolgendo attentamente il mio sguardo su me stesso e osservando il corso della mia vita interiore, ho constatato per esperienza che non amo Dio, che non ho amor del prossimo, che non ho fede religiosa e che sono pieno di orgoglio e di libidine. Riscontro veramente tutto questo in me dopo un esame accurato dei miei sentimenti e delle mie azioni:

Se l’amassi penserei ininterrottamente a Lui con cuore lieto, ogni pensiero su Dio mi procurerebbe un immenso godimento. Al contrario, troppo spesso e troppo volentieri penso alle cose della vita, e il pensiero di Dio costituisce per me un arido sforzo. Se lo amassi, la conversazione con Lui attraverso l’orazione mi nutrirebbe, mi allieterebbe e mi indurrebbe a una perpetua comunione con Lui; mentre, al contrario, non solo non godo dell’orazione, ma nel momento stesso in cui la dico, faccio uno sforzo, lotto di malavoglia, mi lascio infiacchire dalla pigrizia e sono disposto a occuparmi con piacere di qualunque sciocchezza, pur di abbreviare l’orazione o di sospenderla. In vuote occupazioni il mio tempo vola, mentre quando mi occupo di Dio e mi pongo alla sua presenza, ogni ora mi sembra un anno. Chi ama qualcuno vi pensa continuamente, vi pensa tutto il giorno, ha sempre davanti a sé la sua immagine, se ne preoccupa e in qualunque circostanza l’essere amato resterà sempre in cima ai suoi pensieri. Ma io durante il giorno fatico a trovare anche un’ora soltanto per immergermi profondamente nel pensiero di Dio e infiammarmi del suo amore, e le altre ventitré ore le passo a immolare sacrifici agli idoli delle mie passioni.

Nelle conversazioni su frivolezze, su cose degradanti per lo spirito, sono alacre e provo piacere, mentre se rifletto su Dio mi trovo arido, annoiato e pigro. Se per caso sono trascinato da altri a una conversazione spirituale, mi sforzo di passare il più presto possibile a un discorso che soddisfi le mie passioni. Ho inesauribile curiosità di cose nuove, di affari pubblici e di eventi politici; cerco avidamente di soddisfare il mio amore per la cultura, scientifica o artistica, e di possedere nuovi oggetti. Ma lo studio della legge del Signore, la conoscenza di Dio e della religione, mi lasciano indifferente, non alimentano il mio spirito e non soltanto non le considero occupazioni essenziali per un cristiano, ma le vedo come elementi marginali, di cui se mai devo occuparmi solo nel tempo libero, nei momenti di ozio. In breve, se l’amore per Dio si riconosce dall’osservanza dei suoi comandamenti (“Se mi amate, osservate i miei comandamenti”, dice il Signore Gesù Cristo), e io non solo non li osservo ma faccio ben poco sforzo per osservarli, in verità devo concludere che io non amo Dio… Lo conferma Basilio il Grande, quando dice: “La prova che l’uomo non ama Dio e il suo Cristo è che egli non osserva i suoi comandamenti”.

2) Non amo il prossimo.

Infatti, non solo non saprei risolvermi a dare la mia vita per il mio prossimo (secondo il Vangelo), ma non sacrifico neppure la mia felicità, il mio benessere e la mia pace per il bene del mio prossimo. Se io lo amassi come me stesso, secondo gli insegnamenti del Vangelo, le sue disgrazie mi toccherebbero e la sua fortuna renderebbe felice anche me. Invece mi incuriosiscono i racconti sull’infelicità del mio prossimo e non me ne affliggo, anzi resto imperturbato, oppure, ancora peggio, provo una specie di piacere. Invece di nascondere amorevolmente le cattive azioni di mio fratello, le diffondo, giudicandole. Il suo benessere, il suo onore, la sua felicità, dovrebbero allietarmi come se toccassero a me, e invece non suscitano in me alcun sentimento di gioia, come se non mi riguardassero affatto. Se mai suscitano in me un senso sottile di invidia o di disprezzo.

3) Non ho fede religiosa nell’immortalità, né nel Vangelo.

Se io fossi saldamente convinto e credessi senza ombra di dubbio che oltre la tomba c’è la vita eterna e la ricompensa alle azioni terrene non cesserei un minuto di rifletterci. Il solo pensiero dell’immortalità mi farebbe terrore e condurrei questa vita come un viaggiatore di passaggio che si prepari a rientrare in patria. Al contrario, io non ci penso neppure all’eternità, e considero la fine di questa vita terrena come il limite ultimo della mia esistenza. In me cova un segreto pensiero: che cosa c’è dopo la morte? Anche se dico di credere nell’immortalità lo dico soltanto con la mente, ma il mio cuore è ben lontano da una salda convinzione, come apertamente testimoniano le mie azioni e la mia ansia costante di soddisfare la vita dei sensi. Se il santo Vangelo fosse accolto con fede dal mio cuore come la Parola di Dio, io mi dedicherei incessantemente alla sua lettura, lo studierei, ne farei le mie delizie e fisserei su di esso tutta la mia devota attenzione.

L’immensa saggezza, il bene e l’amore che esso contiene mi conquisterebbero e mi darebbero la gioia di studiare la legge di Dio giorno e notte.Mi nutrirei di esso come del pane quotidiano e il mio cuore sarebbe tratto a osservarne i precetti.

Nessuna forza terrena riuscirebbe a distrarmene. Ma al contrario, se ascolto e leggo di tanto in tanto la Parola di Dio, lo faccio per necessità o per generico amore di conoscenza e poiché non mi ci accosto nella più profonda attenzione, la trovo arida e poco interessante. Non ne ricavo alcun frutto, come dopo una lettura qualunque e sono sempre disposto a passare a letture secondarie, in cui trovo maggior piacere e sempre nuovi interessi.

4) Son pieno d’orgoglio e di libidine.

Lo confermano tutte le mie azioni. Se scorgo qualcosa di buono in me, desidero metterlo in evidenza, o vantarmene davanti agli altri, o compiacermi intimamente di me stesso. Sebbene all’esterno io faccia mostra di umiltà, tuttavia attribuisco ogni merito alle mie forze e mi considero superiore agli altri o per lo meno non inferiore. Se noto in me una colpa, mi sforzo di giustificarla, dicendo: ” Sono fatto così ” o ” Non è colpa mia “. Mi arrabbio con coloro che non mi stimano, considerandoli incapaci di apprezzare la gente. Mi vanto delle mie doti, considero un insulto i miei insuccessi, mi lamento; e godo, invece, delle disgrazie dei miei nemici. Se tendo a qualcosa di buono, ho come meta la lode oppure la voluttà spirituale, o la consolazione terrena. Insomma, faccio di me stesso un idolo al quale rendo un culto ininterrotto, cercando in ogni occasione il piacere dei sensi e il nutrimento alle mie passioni o alla mia libidine.

Tutti questi innumerevoli esempi dimostrano come io sia orgoglioso, adultero, incredulo, privo di amor di Dio e pieno di odio per il mio prossimo. Quale stato può essere più peccaminoso? Meglio la condizione degli spiriti delle tenebre: sebbene essi non amino Dio, detestino l’uomo, vivano e si nutrano di orgoglio, almeno credono e tremano. Ma io? Può esserci una sorte più terribile di quella che mi attende? E chi meriterà una sentenza più severa di me, per questa mia vita insensata e stolta?”.

Tratto dai Racconti di un Pellegrino Russo, Rusconi, pp. 167-171

Vedi anche:

VOGLIO CONFESSARMI BENE! "Ti aiuti la Madonna a riconciliarti con Dio, col tuo prossimo, con te stesso, con la vita" dal Santuario di Montenero

MEDITAZIONI DEL SANTO PADRE FRANCESCO NELLE MESSE QUOTIDIANE CELEBRATE NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE - A cura de L'Osservatore Romano

Esame di coscienza - Giovedì, 26 ottobre 2017

C’è chi pensa che l’abitudine di «fare un esame di coscienza» ogni giorno sia una pratica superata, non per «cristiani aggiornati». Ma «la lotta che ha portato Gesù contro il male non è cosa antica, è cosa molto moderna» perché si trova ogni giorno nel «nostro cuore». E l’esame di coscienza accompagna il cristiano in questa lotta aiutandolo «a fare spazio allo Spirito Santo». È questo il consiglio dato dal Papa nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta giovedì 26 ottobre. Commentando le letture del giorno, il Pontefice ha affrontato il tema della conversione: un «cammino» che richiede lotta e impegno continui.
Continua.........




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