Lo Spirito Santo è fuoco che prima brucia e poi illumina
di: Matta El Meskin, (Matteo il Povero)
Amati fratelli nel
Signore, grazia, benedizioni e pace da Dio al vostro
spirito.
Auspico davanti al volto di Dio che godiate tutti della
pace piena e della gioia divina, la quale è caparra
delle cose promesse in eredità agli eletti, e che siate
capaci di riscattare i giorni in vista del tempo a venire,
facendo di voi stessi, dei vostri corpi e della vostra
dignità mantelli da stendere sulla via del Signore
affinché cammini in voi e su di voi, e trovi ristoro
nelle vostre anime. Voi che siete i cherubini di Dio in
terra, portatelo nei vostri cuori e nelle vostre menti e
fate ardere allunisono, dentro di voi, lo zelo
dellamore perché con lamore diventiate trono
incandescente degno di accogliere la divinità che arde
di fuoco e di amore. DallApocalisse sapete che Dio
vuole persone calde (cf. Ap 3,15-16).
Siate dunque così. Lo Spirito di Dio che abbiamo
conosciuto come fuoco in forma di lingua dimori nel
vostro intimo e scrosti via le macchie del vostro
pensiero e delle vostre parole perché renda queste
ultime divine in ogni cosa e in ogni senso. Fatelo dunque
vostro, pronti a soffrire, perché egli non consola se
non dopo aver ammonito. Con la stessa intensità, infatti,
con cui ammonisce, consola: colui il quale non sopporta
la fiamma cocente del suo rimprovero non può sopportare
il fuoco travolgente del suo amore che rende luomo
straniero a se stesso, in palese emigrazione dal suo sé.
Il monito dello Spirito santo non penetra il cuore che
brama il mondo, fossanche una sola cosa che è in
esso, il cuore ambizioso o quello che ha di sé un
concetto più alto di quello che conviene avere (cf. Rm
12,13).
Il monito dello Spirito santo opera e infiamma soltanto i
partigiani della miseria e lanima che si è
condannata a morte sperando di giungere a nuova
resurrezione.
Luomo che aspira allammonimento dello Spirito
è diverso da quello che aspira alla virtù. Essi sono
allopposto. Infatti, il primo è gioisamente
prostrato di sua spontanea volontà, si abbassa con una
soave spontaneità scevra di riserve: egli si è
predisposto ad affrontare il fondo e il fondo è il nulla,
la morte e il non-essere. Il secondo, per vie distorte e
nascoste, si autoesalta, bramando unelevazione
volontaria a cui si è predisposto. Malgrado
apparentemente perseveri ad abbassarsi, in realtà mira a
qualcosa di più elevato.
Accettare la riprovazione dello Spirito santo significa
arrendersi a quanto di più doloroso possa capitare
allessere umano: la croce. Anche qui, però, la
croce esiste sotto due forme: dapprima, la croce di Gesù,
esclusivamente destinata ai giusti senza macchia. Essa è
gloria nella forma e nella sostanza poiché Gesù è
stato glorificato con la croce e la passione perché le
ha sopportate per degli altri. Poi vè la croce del
buon ladrone: questa riguarda noi, se vogliamo compiere
oggi stesso il nostro passaggio al paradiso. Essa è,
nella forma e nella sostanza, grande umiliazione e
ignominia, perché non la sopportiamo per virtù o in
favore degli altri. Piuttosto, diciamo insieme al ladrone
che giustamente siamo stati puniti non per il peccato
perché il peccato non viene espiato da alcuna
punizione, per quanto pesante ma in vista del
passaggio al Regno perché esso si realizza attraverso
molte tribolazioni, seppur gratuitamente per fede (cf. At
14,22).
Chi comprende questo gode della misericordia di Dio. Che
la grazia e lintegrità accompagnino costui fino a
che perfezioni, attraverso la tribolazione, la via della
sua salvezza. Colui che soffre in questo modo e secondo
questo modello vive in grande misericordia, e con la
stessa intensità con cui soffre riceve la consolazione
fino a che non giunge a gioire nel pieno del dolore. La
gioia nel dolore è manifestazione di spirito e di forza
(cf. 1Cor 2,4). Essa è esplosione, nella tenebra del
mondo, della luce del giorno che la disperde. Il dolore
nella gioia, infatti, è simile alla notte che è
presente nel giorno, la quale però, pur essendo
impotente, è sempre pronta a riprendere il proprio
potere se la luce si allontana da lei.
Se luomo cade sotto il monito dello Spirito santo e
si arrende alla sua cocente azione, vuol dire che egli ha
necessariamente raggiunto un alto grado di umiltà,
unumiltà vera, non come quella di colui che brama
la virtù. Essa è, infatti, umiltà che non mira
allelevazione né alla ricompensa, ma che è gioia
di abbassarsi fino allinfinito. Se luomo si
piega alla correzione dello Spirito santo raggiunge la
vera obbedienza e non già la sua versione fasulla.
Larrendersi alla correzione dello Spirito santo
infonde nellanima la sensazione estremamente
sincera e indubitabile che nello stesso modo in cui essa
è vicina al fuoco è anche prossima alla luce[1].
Lo Spirito è, infatti, fuoco che prima brucia e poi
illumina. È impossibile per luomo comprendere il
significato dellobbedienza e realizzarla se non
sente sinceramente e indubitabilmente che egli procede
verso Dio.
Lobbedienza non è un punteruolo con cui accecare
qualcuno perché cammini come un cieco dietro a un altro,
cadendo quando cade laltro e infrangendosi nello
stesso modo in cui si infrange laltro. Così non
sia. Lobbedienza è una nuova illuminazione che si
aggiunge a quella delluomo per assicurargli un
percorso veloce e sicuro, migliore di quello che gli sta
davanti. Non avete letto come Eliseo chiese e ottenne due
porzioni dello spirito di Elia (cf. 2Re 2,9)?
Lobbedienza è grande brama di maggiore
illuminazione a favore della via e in vista
dellobiettivo, e non un accontentarsi
delloscurità, della cecità e del procedere sotto
minaccia del bastone.
Infine, se giungiamo alla verità dellobbedienza
giungiamo alla verità dellumiltà. Da entrambe
luomo è consolato, convinto che tutto ciò che lo
colpisce nella vita è per il suo bene. Ogniqualvolta
accetta la tribolazione raggiunge lobbedienza, e
ogniqualvolta raggiunge lobbedienza ottiene
lumiltà. Così cresce e la sua crescita è senza
fine.
Le persone possono incontrarsi veramente, fino anche a
giungere allunione, soltanto se si abbassano. Non
è possibile, infatti, incontrarci in noi stessi.
Dobbiamo abbandonare il nostro ego. Questa emigrazione
rispetto allego è ben più dolorosa
dellemigrazione dalle proprie terre. Bisogna che
pratichiamo questa emigrazione perché possiamo
incontrarci altrove e non vi è altrove, al di fuori
dellego, se non in Dio.
Dio è il vero io nel quale luomo incontra
laltro, traendo entrambi un nuovo sé simile a
quello di Dio. Dio è il grande io nel quale ci
incontriamo quando ci sbarazziamo del nostro egoismo
menzognero che il mondo e il demonio hanno fabbricato per
noi. I figli di Dio non hanno che un solo io.
Infatti, non troveremo pace nei nostri io. Dio è la
nostra unica pace. Dio non ci è estraneo. Se riusciremo
a emigrare da noi stessi, è soltanto perché Dio ci
attrae a sé. Dio ci attrae perché egli stesso trova
ristoro in noi. Dio si riposa nei suoi santi (cf. Is 57,15
LXX) come si riposa sui cherubini.
Luomo è il trono di Dio sulla terra.
Il riposo di Dio e il nostro sono legati: egli soffre
della nostra sofferenza e si riposa del nostro riposo. Se
cerchiamo riposo al di fuori di Dio, Dio ci angustia
perché si compiace di prostrarci con dolori affinché
possiamo trovare un vero riposo e non un riposo
ingannevole che ci fa perire.
Voi avete accettato di essere di Dio. Siate suoi, dunque,
e non di voi stessi e considerate la morte una meta
perché essa è la porta aperta verso Dio. La morte è il
nostro ultimo nemico, perché ci separa da Dio. Il
Signore Gesù lha vinta e noi la attraverseremo con
grande serenità, se ora camminiamo sulla via, perché la
porta è posta sulla via e quando lattraverseremo
troveremo Dio. Essa sarà lultimo evento del tempo
perciò già da ora è impotente verso di noi perché non
siamo di questo mondo né di questo tempo, se su di noi
è sorta la luce delleternità e siamo entrati
nella sensazione della resurrezione.
La tomba non tratterrà lo spirito. Noi lasciamo
volontariamente il corpo perché sia battezzato nella
polvere della tomba e nella sua tenebra per il secondo
battesimo di resurrezione, nel quale perdiamo il corpo di
carne con tutte le sue membra ferite dal peccato e
toccate da Satana. Si tratta di un battesimo del tempo (cf.
1Cor 10,1-2)[2]: il nuovo non ci sarà fintantoché ci
sarà il tempo. Quando risorgerà il corpo nuovo, i suoi
sensi si apriranno alleternità.
Colui che vive ora nella sensazione del battesimo
che è veramente battesimo della morte e del
seppellimento del Signore potrà lasciare
facilmente il suo corpo nella tomba sapendo che la tomba
è la realizzazione della gioia della resurrezione e la
letizia del battesimo. Il nostro spirito parteciperà al
corteo funebre dei nostri corpi. Lo spirito non piange
per il corpo ma lo consegna alla tomba come il contadino
consegna il seme alla terra.
Non parlo da me stesso e non dico semplici parole ma
spero di incidere nei vostri cuori la consapevolezza
della resurrezione. La vostra vita è nascosta in Cristo
e fintantoché Cristo è vivo, voi non morrete. Egli è
morto una sola volta per tutti affinché noi fossimo per
sempre vivi in lui. La nostra vita va avanti nei giorni
di gioia come in quelli di dolore fino alla morte,
inarrestabile. Il corpo entrerà nella tomba, ma lo
spirito la attraverserà e non vedrà alcuna tenebra
perché la sua luce sarà Cristo che illumina le tenebre
e le tenebre non lo accolgono.
Sia in voi questa nuova consapevolezza cristiana e
illumini i vostri cuori la verità della resurrezione
perché se farete vostra la resurrezione quale opera
genuina dello Spirito santo per luomo, sorgerà su
di voi la vita di Cristo, scompariranno da voi tutti i
pensieri e le congetture che nascono dalle passioni del
corpo e dalle impressioni del mondo, e terrete in scarsa
considerazione ogni cosa. Considererete ogni cosa una
perdita e guadagnerete lo Spirito santo che vi guiderà
allaltezza della statura perfetta di Cristo, in
santità e verità. A voi va il mio saluto e il mio amore
in Cristo. State bene, nel nome della santissima Trinità.
[1] In arabo è ineludibile in gioco di parole
nar (fuoco) e nur (luce).
[2] Qui Matta El Meskin intende un passaggio al di
là del tempo.
Matta El Meskin 1919-2006 igumeno del monastero
di San Macario
tratto da: La gioia della preghiera, Qiqajon,
pp. 99-106
Matta
El Meskin, (Matteo il Povero)
al secolo Yusuf Iskandar (1919 2006), è stato un
monaco egiziano, igumeno del monastero di San Macario il
Grande, deserto di Scete, dal 1969 alla morte. L'igumeno
Matta El Meskin non è solo una delle maggiori figure
della storia contemporanea della chiesa copta ortodossa
ma anche un autore spirituale noto e apprezzato in tutto
il mondo, tradotto in quattordici lingue.
|