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Essere e Vivere da Cristiani


Dare e riprendere la vita

"Io do la mia vita per riprenderla di nuovo... Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo" (Giovanni 10, 17-18)


Gesù sta delineando una sorta di parabola (in realtà l’evangelista Giovanni parla di una paroimía , una “similitudine”) divenuta celebre, quella del “buon pastore”. Anzi, in greco si ha “bel ( kalós ) pastore”, nella convinzione che etica ed estetica siano tra loro intrecciate, come si aveva anche nella lingua ebraica ove un unico termine, tôb , indicava sia “buono” sia “bello” e persino “utile”.

Ormai Cristo è alla fine del discorso; poco prima ha dichiarato: «Io do la vita per le pecore» (10,15).

Ecco allora questa nuova affermazione un po’ oscura sulla vita e la morte che è totalmente nelle mani del Figlio di Dio. Si aggiunge, infatti, nel passo da noi citato: «Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Ebbene, in queste righe, che riflettono la fede pasquale della Chiesa delle origini, brilla la solenne e serena maestà di Cristo e la sua piena libertà di fronte alla morte che ormai si profila all’orizzonte. Infatti, egli è consapevole che tra poco dovrà «dare la sua vita» ai suoi carnefici.

Questo, però, non è frutto di un mero gioco degli eventi, è una scelta consapevole che Gesù compie, come egli ripeterà più avanti, pur con i brividi che ogni uomo prova di fronte alla morte: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò: Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!» ( Giovanni 12,27). Quando nella notte tenebrosa del Getsemani sarà circondato dalla pattuglia che sta per arrestarlo, senza esitazione dirà a quelle guardie: «Vi ho detto: sono io! Se dunque cercate me, lasciate che questi [i discepoli] se ne vadano» (18,8).

Lo stesso evangelista introdurrà il racconto della passione di Cristo con que- sta frase: «Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre...» (13,1). Egli, dunque, avanza a viso aperto verso la sua fine, anche perché custodisce nel suo animo la certezza che, se la sua umanità cadrà nell’abisso della morte ed egli diverrà un cadavere da sepolcro, la sua qualità di Figlio di Dio si conserverà sempre perché dotata di eternità e si aprirà alla risurrezione. Si comprende, così, l’altra espressione contenuta nella frase che stiamo esaminando: «Ho il potere di riprenderla [la vita] di nuovo».

Il chicco di grano – dirà non molto dopo (12,24) – muore, ma la sua fine è un nuovo inizio di fecondità. La risurrezione di solito nel Nuovo Testamento è vista come opera del Padre che “risveglia” il Figlio dalla morte. Tuttavia, è vero anche che – come dice ancora Cristo – «io e il Padre sia- mo una cosa sola» (10,30) e, quindi, anche il Figlio si “leva” dal grembo della morte, “riprendendosi” la vita eterna che gli appartiene.



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