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Essere e Vivere da Cristiani


I sette mariti

"Alla risurrezione, di quale dei sette quella donna sarà moglie? Tutti infatti l’hanno avuta in moglie!" (Matteo 22,28)


Se si va a cercare su un dizionario biblico la parola “levirato” (dal latino levir, “cognato”) si trova più o meno una definizione di questo tipo: «Prassi giuridica dell’antichità ebraica e di altri popoli, secondo la quale se un uomo sposato decedeva senza figli, il fratello più giovane ne doveva sposare la vedova per assicurare una discendenza al defunto: il nome del morto e la sua eredità sarebbero stati assegnati al primogenito di questa nuova unione». Nell’Antico Testamento sono tre i testi che presentano tale istituto. I primi due riguardano il primogenito del patriarca Giuda di nome Er, morto precocemente (Genesi 38,6-11), e Booz che prese in moglie Rut, sposa del defunto Elimelek, essendo suo unico parente (Rut 1,11; 4,5).

In pratica, da questi due testi emerge che il cognato (o il parente prossimo, in caso di assenza di cognati) doveva sposare la vedova di suo fratello, così da poter assicurare un erede. Il terzo testo è, invece, squisitamente giuridico e offre un’articolazione più complessa dell’obbligo con una serie di specificazioni, limitazioni ed eccezioni che non è il caso di puntualizzare in questa nostra trattazione (Deuteronomio 25,5-10). Il nostro compito è, infatti, quello di spiegare il caso limite addotto dai Sadducei, una corrente conservatrice del giudaismo del tempo di Cristo, proposto a Gesù per metterlo in imbarazzo. Essi prospettano una catena di levirati nei confronti di una sola donna: sette fratelli subentrano in matrimoni successivi, morendo però tutti prima di aver assicurato una discendenza alla vedova e, quindi, al loro primo fratello defunto.

Il paradosso fittizio è introdotto per costringere Gesù a schierarsi con loro contro i farisei – l’altra corrente giudaica avversaria – negando la risurrezione che questi ultimi sostenevano come dottrina di fede. Infatti, sogghignando, alla fine gli domandano: «Alla risurrezione, di quale dei sette la donna sarà moglie? ». Cristo, nella sua risposta, non cade nel tranello e replica volando alto: «Alla risurrezione non si prende né marito né moglie, ma si è come gli angeli del cielo» (22,30). Egli nega, così, una lettura “materialistica” della risurrezione. E aggiunge una motivazione teologica ulteriore, citando un passo dell’incontro di Mosè con il Signore al roveto ardente del Sinai: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Non è il Dio dei morti ma dei viventi! » (22,32; cfr. Esodo 3,6).

Dio non si lega a cadaveri, ma a esseri viventi ai quali apre un orizzonte di vita oltre la morte secondo categorie differenti rispetto a quelle meramente “carnali”, basate sulla nostra storia che si muove secondo le coordinate dello spazio e del tempo. Si tratta di un nuovo ordine di rapporti, di una nuova creazione, di un orizzonte nel quale i vincoli parentali e sociali sono trasfigurati. Queste parole di Gesù avevano conquistato quel grande filosofo e scienziato credente che fu Blaise Pascal. A partire dal 1654 fino alla morte (1662) egli portò sempre con sé un foglio, cucito nella fodera del farsetto, intitolato “Fuoco”, e scoperto alla morte del pensatore da un domestico.

Eccone il testo modulato sulle parole di Gesù, commentate liberamente da Pascal: «Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti. Certezza, certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. Dio mio e Dio vostro. Il tuo Dio sarà il mio Dio. Oblio del mondo e di tutto fuorché di Dio. Egli non si trova se non per le vie indicate dal Vangelo».


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