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Perchè guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo
fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo
occhio?" (Luca 6,41)
«Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti
gli altri reagirono con durezza condannandolo. Il maestro,
invece, taceva e non reagiva. Uno dei discepoli non seppe
trattenersi e sbottò: Non si può far finta di
niente dopo quello che è accaduto! Dio ci ha dato gli
occhi! Il maestro, allora, replicò: Sì, è
vero, ma ci ha dato anche le palpebre!». Siamo
partiti da lontano, con questo apologo indiano, per
commentare una delle frasi più celebri del Vangelo,
dedicata alla falsa correzione fraterna.
Sappiamo, infatti, che lo stesso Gesù suggerisce di
«ammonire il fratello se commette una colpa contro di
te» (si legga il paragrafo di Matteo 18,15-18). Ma è
inesorabile contro gli ipocriti che correggono il
prossimo per esaltare sé stessi e, anche in questo caso,
è difficile trovare una più incisiva lezione rispetto a
quella che ci è offerta dalla parabola del fariseo e del
pubblicano (Luca 18,9-14). In tutti gli ambienti, anche
in quelli ecclesiali, ci imbattiamo in questi occhiuti e
farisaici censori del prossimo, ai quali non sfugge la
benché minima pagliuzza altrui, sdegnati forse perché
la Chiesa è troppo misericordiosa e, a loro modo di
vedere, troppo corriva.
Si ergono altezzosi, convinti di essere investiti da Dio
di una missione, consacrati al servizio della verità e
della giustizia. In realtà, essi si crogiolano nel gusto
sottilmente perverso di sparlare degli altri e si
guardano bene dallesaminare con lo stesso rigore la
loro coscienza, inebriati come sono del loro compito di
giudici. Ecco, allora, laccusa netta di Gesù:
guarda piuttosto alla trave che ti acceca! «Togli prima
la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per
togliere la pagliuzza dallocchio di tuo fratello»
(6,42). E poche righe prima, in questo che gli studiosi
hanno denominato il Discorso della pianura (parallelo
al Discorso della montagna di Matteo), egli
aveva ammonito: «Non giudicate e non sarete giudicati;
non condannate e non sarete condannati; perdonate e
sarete perdonati!» (6,37).
Purtroppo, dobbiamo tutti confessare che questo piacere
perverso di spalancare gli occhi sulle colpe del prossimo
è una tentazione insuperabile che ci lambisce spesso.
Quel racconto indiano che abbiamo citato in apertura è
accompagnato da un paio di versi di un celebre e
sterminato poema epico indiano, il Mahabharata, che
affermano: «Luomo giusto si addolora nel biasimare
gli errori altrui, il malvagio invece ne gode». Bisogna
riconoscere come ribadiva lumanista
mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529) nel suo
trattato Il Cortegiano che «tutti di natura siamo
pronti più a biasimare gli errori che a laudar le cose
bene fatte». Ritorniamo, comunque, a quel discorso di
Gesù proposto dal Vangelo di Luca e riprendiamo
unaltra frase che sia da suggello a questa nostra
riflessione sullipocrisia: «Siate misericordiosi
come il Padre vostro è misericordioso» (6,36).
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